di Ornella Mastroianni
dott.ssa in Tecniche psicologiche
Ci sono momenti in cui comunicare appare difficile e faticoso, soprattutto quando non riusciamo a capire perché certe discussioni finiscono sempre allo stesso modo ed abbiamo l’impressione che le nostre parole finiscano al vento. I meccanismi del comunicare ci sfuggono, ci sentiamo frustrati ed impotenti ed un profondo senso di insofferenza ci assale quando iniziamo quelle che finiamo per definire le solite discussioni.
Perché certe parole pare proprio che… non arrivino?
Cerchiamo di rispondere in poche righe.
Che significa comunicare?
Un atto comunicativo consiste in un passaggio di informazione tra un emittente ed un ricevente che ne condivide il codice.
Questa definizione molto generale è condivisa, però, dalle molte discipline che se ne occupano: filosofia, psicologia, sociologia, antropologia… e chiarisce come comunicare presupponga almeno due soggetti che si comprendano (condividere il codice).
Cosa intendiamo per codice?
Il codice è un sistema di segni dai significati condivisi che ci permette di comunicare.
Facciamo qualche esempio:
- Le formiche utilizzano un codice chimico per comunicare tra loro (ferormoni)
- I cani comunicano con il corpo (la coda per esempio)
- I computer comunicano utilizzando bit
- Gli esseri utilizzano umani il linguaggio
Quali caratteristiche ha il linguaggio umano?
Il linguaggio umano è atto molto complesso, possiamo riconoscere due modalità contemporanee che agiscono insieme ed entrambe vengono riconosciute e condivise dal mondo dei parlanti:
- la prima è costituita dal segno vero e proprio: parola parlata o scritta, ideogramma, segno utilizzato da non udenti, codice braille;
- la seconda è costituita dalla modalità con la quale viene emesso il segno: tono, timbro di voce, ma anche la punteggiatura nel caso della scrittura;
esiste un terzo aspetto che riguarda soprattutto il non verbale, il corporeo quindi: postura, movimenti, spazio occupato, ma anche aspetti estetici quali modo di vestire, modo di curare il proprio aspetto. Tutto questo concorre alla comunicazione umana. Complesso vero?
C’è un ulteriore elemento di complessità…
…il nostro mondo interiore. Un mondo fatto di gioie, dolori, famiglia, amori, tradimenti, cose fatte male e quelle fatte bene, vergogne ed orgogli, terrori e meschinità ma anche grandezze e trionfi; lì dentro c’è una parte molto potente di noi, la parte oscura quella che rappresenta la psiche, ciò che ci ha portato ad essere:
“qui-ed-ora-quello-che-siamo-in-questo-momento”
che interviene pesantemente nella relazione di comunicazione, regolando e determinando ciò che di noi, quella parte oscura, intende rendere pubblico o proteggere e segretare, ma anche ciò che vuole e non vuole ascoltare.
Definiamo meglio i filtri:
Possiamo riconoscerne almeno due gruppi che intervengono soprattutto nelle comunicazioni più intime:
pre-giudizi, nel senso più letterale del termine, come atteggiamenti che entrano nella comunicazione spesso prima ancora che inizi:
- So già cosa mi dirai
- So perfettamente cosa mi vuoi dire
- Sono sicuro di quello che provi
- L’ho provato anche io
- So già come reagirai
- Intanto sai già tutto
- Ti conosco benissimo
e cancellazioni, quelle modalità emotive che non ci fanno né dichiarare né ascoltare per cui non parliamo di e neanche ascoltiamo argomenti che:
- Ci imbarazzano
- Ci fanno arrabbiare
- Colpiscono i nostri valori
- Ci ricordano nostri dolori
- Ci mettono ansia
Con queste modalità, nelle quali ciascuno di noi spesso si può riconoscere, è evidente come diventa difficile e faticoso comunicare!
Che caratteristiche deve avere la comunicazione perché arrivi dove deve arrivare
Rinunciare a giudizi pre-acquisiti è condizione fondamentale: se “tu sai già tutto” o se “io so già cosa mi dirai” diventa superfluo dirsi le cose: la vera comunicazione non è mai definita in anticipo e dovrebbe essere sempre nuova. Rinunciare a pensare “ti conosco benissimo” chiunque esso sia e per quanto intimo possa essere, ci consente di conoscere davvero il pensiero dell’altro, qualunque esso sia anche se non ci piace. E’ il “ti conosco benissimo” e tutti gli altri altri filtri che comportano le ricorsività delle discussioni, quelle spirali comunicative che terminano sempre alla stessa maniera.
Cosa si può fare per rendere più semplice una comunicazione difficile?
Si può iniziare a riflettere su come stiamo comunicando piuttosto che sulle cose che comunichiamo, cercare quali filtri e/o quali emozioni si attivano durante quelle che abbiamo già definito come le solite discussioni che tanto ci infastidiscono e che impediscono, molto spesso, il realizzarsi di relazioni serene. Si può pensare ad ascoltare l’altro per quello che ci sta dicendo e non per quello che ci fa arrabbiare, imbarazzare, spaventare anche denunciando con chiarezza l’emozione che ci assale e che ci fa chiudere l’ascolto. Si può permettere all’altro di terminare il suo discorso (ma anche pretendere che l’altro ce lo faccia terminare a sua volta) senza aggressioni verbali: il rispetto dei turni di parola è vero e proprio rispetto per l’altro in senso generale. Si può considerare come risorsa disponibile l’aiuto di un esperto che ci aiuti, meglio non come ultima risorsa: anche in questo campo è meglio prevenire.
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