di Sabrina Ravazza
psicologa
La sensazione è che questi due termini siano entrati insistentemente nel linguaggio di tutti noi in modo pervasivo, ma di che cosa si tratta in realtà e perché se ne parla così tanto?
Proviamo a comprendere un po’ meglio di cosa si tratta: uno stato di ansia è quando la persona si sente “attivata” rispetto ad un qualche ambito della sua vita. Può percepire una preoccupazione, e sentire dei segnali dal proprio corpo come sudorazione, tachicardia, senso di nausea o vertigini… o altre sensazioni corporee spiacevoli
Qualcuno può sentirsi in ansia per dover sostenere un esame, per aver perso il lavoro o ancora per aver ascoltato previsioni meteo minacciose, per un viaggio imminente o per mille altre situazioni che per altri sono normali.
Che cosa hanno in comune le circostanze citate?
Certamente un certo grado di imprevedibilità e perciò possono rappresentare timore e preoccupazione rispetto alla buona riuscita di un evento o al futuro. In un certo senso un meccanismo rivolto alla protezione appare ragionevole, anzi addirittura vantaggioso per l’individuo nella misura in cui un certo livello di preoccupazione può predisporre ad un atteggiamento di attivazione –attacco oppure di attivazione-fuga. Vista in questi termini l’ansia sembra allora una dotazione utile per far fronte alle minacce e dotare l’individuo di un “meccanismo segnale”, una sorta di campanello d’allarme che predispone ad agire. Anche Freud lo diceva!
Quando però l’ansia non va più bene?
Diventa difficile dare una risposta univoca, perché la variabilità individuale è grandissima. Ciò che io percepisco come ansiogeno, per esempio guardare nel vuoto da una certa altezza, per alcune persone può essere divertente ed eccitante oppure non è detto che la mia ansia sia sempre la stessa anche in una stessa situazione: vari fattori possono incidere e farmele sentire diversamente come per esempio la stanchezza o la disponibilità a mettermi in gioco e a reagire. In generale tuttavia quando una persona avverte la propria ansia come fastidiosa o pervasiva, oppure troppo intensa e tale da impedire il normale svolgimento delle proprie azioni, si può pensare che la sua funzione venga meno e anzi, diventi dannosa.
Che fare allora?
Proprio per la grandissima variabilità individuale dello stato ansioso in ognuno di noi, è indispensabile chiedersi quali situazioni rappresentano motivo di attivazione soggettiva e soprattutto per quali motivi.
Cioè perché alcune persone per esempio tremano al pensiero di parlare in pubblico? Quale è il timore sottostante? Paura di essere giudicati male dagli astanti? Di certo fra i partecipanti potranno emergere critiche e giudizi negativi, ma perché essi hanno un così forte impatto?Che cosa vanno a toccare tanto in profondità da essere vissuti come una minaccia e portare all’ansia, al panico e ancora più spesso all’evitamento?
Talvolta l’ansia può raggiungere livelli tali da essere vissuta come perdita di controllo su tutto: sia se stessi e il proprio corpo che la situazione. È la sensazione del panico intesa come pura e devastante angoscia.
In questi casi cosa succede? Perché un vissuto così forte che pare “staccare” da tutto e da tutti? Perché così improvviso e inaspettato? Che cosa lo ha provocato? Che significato ha? Come fare per mettere fine a questo disagio che paralizza e poi quando scema lascia lo spauracchio del suo ritorno?
Queste sono solo alcune delle domande che le persone ci pongono quando arrivano da noi spaventate e spesso con una qualità di vita decisamente penosa per le limitazioni a cui sono costrette o per gli alti livelli di preoccupazione. Non è possibile dare una risposta univoca a queste domande; occorre cercare una risposta nella persona che vive tale esperienza. Cioè significa comprendere la persona, come funziona la sua mente e come essa ha costruito sé stessa attraverso le proprie esperienze di vita e di relazione.
Il panico è di solito una risposta estrema di perdita di controllo che tuttavia rimanda ad altri indicatori della vita della persona. Spesso essi hanno a che fare con l’incapacità e la paura di ascoltare da dentro le proprie emozioni.
Di fatto una persona che sperimenta un attacco di panico ne rimane talmente impaurita e minacciata che vive nell’angoscia che l’esperienza si riproponga e cerca di trovare una spiegazione logica che possa rendere in qualche modo l’evento prevedibile ei “prevenibile”. Di solito poi adotta varie strategie di evitamento di luoghi o situazioni che possono sembrargli minaccianti come evitare per esempio di utilizzare certi mezzi di trasporto, i luoghi chiusi, affollati ecc. oppure di protezione di sé attraverso modi che lo facciano sentire al sicuro, come per esempio farsi accompagnare da qualcuno nelle attività obbligate, o ancora ricorrere a farmaci per eliminare il sintomo.
In realtà i comportamenti citati, a ben vedere corrispondono a modalità di controllo piuttosto rigide e pervasive e riguardano non solo le situazioni ma anche la percezione delle emozioni . E’ come se attraverso il controllo spinto all’estremo si potesse limitare l’imprevedibilità degli eventi che spaventa ed elicita paura e ansia.
Unica certezza è che la qualità della vita in queste condizioni peggiora in modo significativo e può a sua volta veicolare altre sensazioni sgradevoli come insoddisfazione di sé o senso di fallimento o altro ancora più grave.
Una chiave di lettura alternativa viene dalla prospettiva costruttivista che legge fobie e attacchi di panico proponendo una visione della persona costruita secondo due distinte polarità: intimamente il soggetto si sente debole, fragile e non autonomo da un lato, dunque bisognoso di protezione e controllo perché non in grado di affrontare da solo un mondo “pericoloso” e dall’altro avverte un senso di costrizione verso situazioni vissute come obbligate e costrittive e l’inevitabile desiderio di libertà. Questo rappresenta tuttavia un paradosso: come si può essere protetti senza che la propria libertà venga minacciata?
Di fatto questa persona risolve il problema creando per sè condizioni che permettano di mantenere accettabile sia il proprio bisogno protezione che di libertà. Cioè per esempio è la persona che non si lega in relazioni amorose stabili ma si butta in storie destinate a finire perché impossibili, oppure mantiene la relazione col coniuge simbolo di protezione e con l’amante che rappresenta la libertà. Di fatto questa persona non si coinvolge in nessuna circostanza che gli faccia sentire le emozioni, ma sfida quasi la vita in modo da avere illusione di essere una persona coraggiosa, forte e temeraria e non sentire la propria fragilità.
La modalità generale è quella di tenere tutto sotto controllo serrato per far si che il proprio sistema non si sbilanci. E’ come dire continuare a funzionare in equilibrio, avvertendo entro limiti accettabili sia la sensazione di costrizione che di desiderio di libertà, senza produrre scompenso. Tuttavia possono esserci eventi di vita che rompono inaspettatamente tale equilibrio facendolo precipitare verso uno dei due bisogni. E’ il sintomo! Esso è indicativo allora del fatto che sistemi di compenso adottati fino a quel momento hanno fallito e non funzionano più.
La psicoterapia può aiutare la persona a ripristinare la sua situazione di equilibrio in cui però sia il bisogno di protezione che di libertà vengono ad armonizzarsi reciprocamente senza rappresentare più neccessità obbligate e rigidissime.
Autrice:
Psicologa , iscritta all’Ordine degli psicologi della Liguria (07/1939)
Psicoterapeuta in supervisione secondo una formazione cognitivo costruttivista.
Ha interesse per la psicosomatica intesa come qualunque manifestazione fisica di un disagio che può essere anche psicologico. A tale ambito appartengono per esempio i disturbi del comportamento alimentare, le disfunzioni sessuali o i problemi di infertilità/sterilità psicogeni a cui rivolge specifica attenzione.