di Cinzia Termi
psicologa
Meditazione
Prendendo il largo dalla parola e dal suono ci si immerge nel mare del silenzio,in uno spazio senza i rumori del pensiero, dove si è nutriti. Non sappiamo nulla del silenzio, mare senza contrassegni. Non sappiamo quanto profondo sia, ma sappiamo che per imparare a nuotare, in esso dobbiamo immergerci (Vimala Thakar).
Cresce, in questi anni, l’attenzione al corpo e il numero di coloro che, nella loro esperienza e nella loro ricerca, percepiscono nel corpo il riflesso di una dimensione irrinunciabile dell’abitare il mondo. Al tempo stesso, il corpo di cui si parla nei luoghi della formazione, della ricerca, della cura è ancora, spesso, un corpo che rischia di risultare reificato, cosa o, all’opposto astratto, idea: un corpo che poco si ascolta e di cui solo si parla.
Gesto e pensiero, corpo e mente, dunque, inscindibili l’uno dall’altro, elementi di un unico processo conoscitivo a cui la meditazione può offrirsi come occasione e momento di benefica interazione.
La meditazione buddhista di consapevolezza, che classicamente va sotto il nome di satipatthana o vipassana, potrebbe essere definita come la contemplazione di corpo e di mente. Le fondamenta su cui poggia questa forma di meditazione sono, da una parte una corretta posizione del corpo e una certa stabilità fisica, dall’altra una certa stabilità o calma mentale. Entrambe richiedono tempo e pazienza.
Il corpo può essere accompagnato, attraverso semplici movimenti di stiramento e di allentamento della tensione., verso una maggiore flessibilità, che fa da sfondo alla verticalità della colonna e la amplifica.
La calma mentale è facilitata dal prestare attenzione ad un’esperienza semplice, che ci accompagna dalla nascita: il respiro.
Si può dire che la meditazione sia dunque, da questo punto di vista, esperienza di osservazione del divenire, ma utilizzare la parola per descrivere un’esperienza e il processo di comprensione che la accompagna appare già come un pericoloso paradosso; vale d’altronde la pena tentare.
Quando parliamo di consapevolezza, intendiamo la pura attenzione silenziosa e non giudicante nel momento presente. Contemplare il corpo e la mente vuol dire osservare con questa qualità di attenzione le sensazioni fisiche e il fluire di inspiro ed espiro, “stare” con i cambiamenti di tono, temperatura, densità, anche i più piccoli, significa, d’altra parte, farsi testimoni dell’avvicendarsi di attrazione e repulsione nella nostra mente, del succedersi di emozioni e stati d’animo e, ancora, osservare i pensieri e le immagini che accompagnano gli stati d’animo nel loro mutare e nel loro permanere, sorprendentemente, uguali a se stessi.
La meditazione, afferma Vimala Thakar, non è un’attività cerebrale, mentale. Essa non ha luogo attraverso un’attività di pensiero, di riflessione, di descrizione. La meditazione è espressione di uno stato indiviso (1989, Appunti personali).
Il sapore di questa esperienza, comunque, non viene inteso pensando al termine “silenzio”, che associamo alla scomparsa di rumore e di suoni, né associandolo alla concentrazione, laddove essa sembra coinvolgere un’attenzione focalizzata, tesa a sedare il chiacchiericcio della mente e supportata fortemente dalla volontà e talvolta, quindi, dallo sforzo teso all’obiettivo.
Tantomeno si può tentare di interpretarla etichettandola come una fuga dal mondo: occorre infatti chiarire un malinteso, meditare non è rinnegare il mondo. Il rallentamento, che la pratica richiede, è al servizio di un esame profondo della mente e dei suoi oggetti, non una spaventata ritirata di fronte ad essi. L’approccio buddista alla mente offre infatti, anche attraverso la proposta della meditazione, una visione totale della psiche umana e lungi dall’essere un ritirarsi dalla vita emotiva e mentale, richiede che tutto ciò che è contenuto nella psiche si assoggetti alla consapevolezza della meditazione: quando ciò avviene può divenire possibile cogliere un barlume di realtà che ci appare al di là di una percezione distratta e offuscata
Dice Jean Klein “Seguire un pensiero è ciò che lo tiene in essere. Se si rimane presenti senza divenirne complici, l’agitazione rallenta per mancanza di carburante. Nell’assenza dell’agitazione si è presi dalla risonanza della tranquillità”.
Presenza quindi, semplice presenza, priva del coinvolgimento giudicante e del peso delle aspettative a cui siamo abituati.
L’ascolto meditativo conduce talvolta, e con il progredire e l’approfondirsi della pratica sempre più spesso, ad una scoperta rivoluzionaria: partendo dalla consapevolezza del corpo e dall’ascolto del respiro, non si seda il pensare, si raggiunge una consapevolezza nuova, lontana dallo sforzo, capace, per una volta, di non confinarsi nell’automatismo e nel conosciuto. Meditando ci mettiamo in ascolto e, soprattutto, accettiamo di non sapere.
Semplicemente presenti, senza giudizi, senza aspettative.
Su una base di stabilità fisica, lasciamo fluire l’esperienza insieme ad una attenzione continua, ma rilassata e ricettiva, non invasiva e controllante. Accogliamo allora tutto ciò che sorge nel campo della nostra attenzione: è benvenuta la tensione come lo è il rilassamento, la tranquillità come la sua mancanza, i pensieri, i ricordi, i progetti come la loro assenza.
Mente spaziosa dunque, mente che accoglie, senza separare e scacciare ciò che non è di nostro gradimento ma, al tempo stesso, senza aggrapparsi, trattenere o perdersi in ciò che ci piace: lasciare la presa e osservare cosa ciò reca con sé.
Nei primi momenti la pratica poggia su un ascolto fugace ed intermittente, condizionato dalla memoria e dai percorsi conoscitivi prevalenti: all’inizio essa è più metodo da applicare che naturale propensione all’apertura di fronte all’esperienza, quando poi cominciamo a sperimentare una certa capacità “di stare” nell’osservazione, ci rendiamo comunque conto che la percezione è ancora pregna della tendenza a discriminare attraverso la legge della dualità e delle sue regole ma dopo, lentamente, la percezione d’essere muta, uscendo dal vortice dell’abitudine, e allora ci accorgiamo che muta anche la produzione dei pensieri e cessiamo di farci dettare il ritmo da loro.
Allora, l’abituale frammentazione svanisce e dimoriamo in uno spazio accogliente, caldo e silenzioso, in una trasparenza unica in cui è possibile cogliere il dettaglio e l’insieme: un’esperienza continuamente in mutamento ma, al tempo stesso, sempre uguale a se stessa e di cui ora, grazie alla qualità mutata della nostra consapevolezza, percepiamo meglio infinite ed inconsuete sfumature.
Il cambiamento che avvertiamo è allora sperimentabile in termini di una maggiore stabilità mentale, leggerezza, lucidità e , si può osare dire, libertà.
Attraverso la pratica capita di accorgersi che avversione, attaccamento e confusione, che abitano la mente, producono molta della sofferenza che percepiamo: osservarli alla luce della consapevolezza permette di lasciare che essi diminuiscano la loro forza prorompente, lasciando più spazio, uno spazio capace di accogliere, uno spazio vasto e ricettivo.
La reattività a cui siamo abituati, ancorché presente, lascia la presa e si indebolisce, la consapevolezza diviene allora presenza abituale e sorge una capacità di risposta alle sollecitazioni del quotidiano fondata maggiormente su uno stato di attenzione fertile e non giudicante.
Ecco, allora, che qualunque cosa può divenire occasione per cogliere, nell’intensità di un attimo, un accordo intenso con la realtà, al di là di una percezione superficiale ed automatica: in questi momenti si può diventare consapevoli di una luminosità particolare, di una trasparenza sorprendente rispetto alla nostra esperienza del mondo: è cambiata, si potrebbe dire, la profondità della nostra apertura all’esperienza.
Bibliografia:
AA.VV., (1998-2003), Sati, Rivista dell’associazione per la Meditazione di consapevolezza, Roma
AA. VV., (2001), Psicoanalisi e Buddismo, Raffaello Cortina, Milano
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Chondron P,. (1999), Il risveglio del cuore, Mondatori, Milano
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Kabat Zinn J., (1999), Dovunque tu vada ci sei già, Ubaldini, Roma
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Pensa C, (2001), Perché meditare, in Sati, rivista dell’associazione per la Meditazione di consapevolezza, Roma
Cinzia Termi
psicologa psicoterapeuta
La sua formazione accademica è di impronta prevalentemente psicodinamica.
Fin dall’adolescenza, la sua storia è legata al desiderio di sperimentare il lavoro corporeo e le mille sfaccettature delle interazioni mente/corpo: questo l’ha portata ad avvicinarsi alle pratiche di yoga e meditazione, che pratica da circa venticinque anni, allo shiatsu e all’approfondimento delle tecniche a mediazione corporea. Ha conseguito un diploma di insegnante di yoga e uno di operatore shiatsu.
Si occupa di percorsi di crescita personale, lavorando con gruppi e singoli, utilizzando rilassamento, visualizzazioni, tecniche di respirazione, meditazione, shiatsu.
Conduce regolarmente, da circa quindici anni, gruppi di yoga, meditazione e laboratori di consapevolezza corporea.
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