di Saverio Casassa
psicologo
Crisi. Un parola breve, dotata d’impatto immediato, in grado di sprigionare molti significati. In latino crisis, e in greco κρίσις: «scelta, decisione, fase decisiva di una malattia».
Nel linguaggio moderno l’accezione più diffusa richiama il negativo: si parla di “avere una crisi”, “lo scoppio di una crisi”, “essere in crisi” riferendosi a qualcosa che prorompe, spesso ci travolge e condiziona, al quale resistere e se possibile scacciare al più presto. Richiama una posizione di passività, vittimismo e tuttalpiù di reazione ad una forza invasiva e impositiva.
In effetti non è raro che la crisi arrivi imprevista e rimescoli le carte in tavola, se non addirittura ribalti il tavolo stesso. La crisi è però spesso l’esisto di un prolungato periodo di sovraproduzione, di accumulo, interiore o esteriore che sia. In tal senso si apre un’altra possibilità interpretativa: si aggiunge il valore di liberazione da un “di troppo”, di riorganizzazione dell’energia che era utilizzata per costringere un fenomeno piuttosto che per accompagnarlo.
“La parola crisi, scritta in cinese, è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità.” (John Fitzgerald Kennedy)
La crisi più in generale ha che fare con il cambiamento e l’ambivalenza. Più precisamente con la nostra capacità di discriminare gli aspetti importanti nella confusione, di prendere posizione rispetto alla transizione verso il nuovo stato delle cose, verso il nuovo equilibrio a cui si tende. Una situazione critica pone di fronte a quello che c’è, seppur con certi pericoli, e nel richiedere la nostra scelta ci invita però concretamente alla presa di responsabilità. In questo senso ci offre anche delle opportunità.
“La chiarezza è una giusta distribuzione di luce e ombra.” (Johann Georg Hamann)
Quando il nuovo emerge nella vita degli uomini, da sempre si attivano la sorpresa e la curiosità ma ancor più la diffidenza, lo scrupolo, la paura e in casi estremi il panico e l’angoscia.
Le emozioni perdono i riferimenti, si gonfiano e rompono l’equilibrio tra irrazionale e razionale. Nascono fantasie, ci si aggrappa ai pregiudizi (positivi o negativi), si cerca di allontanare il dolore e l’intensità da noi ponendoli altrove, in ciò che è diverso e perciò meritevole del beneficio del nostro dubbio.
Cresce ciò che nasce dall’Ombra, ciò che sentiamo che ci è estraneo o che vorremmo lo fosse. É più facile riconoscere il difetto negli altri, nei diversi da noi. Si cerca un nemico o un colpevole con cui prendersela, a cui attribuire il nostro dolore. Un tentativo di trovare un volto al nemico invisibile. Questo può essere l’incipit del pessimismo, della sfiducia, del senso di impotenza e della distruttività. Il rischio è di ritrovarsi a dei punti di rottura definitivi.
Oggi la crisi legata al “Coronavirus” (COVID-19) fa risuonare molte di queste corde.
Fa ripensare al valore di una libertà data spesso per ovvia e fa sentire l’amaro nel trovare le proprie abitudini stravolte dalla rapida e invisibile presenza di qualcosa che non è direttamente osservabile e affrontabile, di cui si sentono però gli esiti del passaggio. Ci sembra tutto stranamente lontano attraverso gli schermi, ma ci tocca sempre da vicino, ci smuove fortemente dal nostro interno proprio mentre siamo costretti ad essere più stanziali. Ci fa piangere nell’addio a persone care. Ci fa temere per la nostra salute.
“In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto.” (Carl Gustav Jung)
Nelle due metà della crisi, quando quella del pericolo è contenuta dalle nostre precauzioni e dalle dovute tutele e la sorte non scivola solo sul crinale della sconfitta, possiamo rivolgerci con impegno alla metà evolutiva, quella dell’opportunità.
Proprio in questi periodi confusi e ambivalenti servono delle aree di riflessione pulite. Momenti per rallentare il tempo rapido dei pensieri. Aree dove decomprimere l’intensità e chiarire il proprio sguardo riprendendo contatto e ritmo con la vita. Aree appunto dove poter ritrovare la capacità di “discriminare”, di arrivare a prendere decisioni, di saper ristabilire dei riferimenti se non stabili almeno solidi. Dove ritornare quindi all’antico valore del termine crisi, cioè scendere a patti con il cambiamento trovando una nuova forma più adatta e funzionale.
Non possiamo infatti sperare di combattere ciò che ci trascende avendo forza ed estensioni enormi, possiamo però cercare rispettosamente di crearci degli spazi sufficientemete buoni, dai quali assistere con attenzione e imparare come e quando cogliere le possibilità che emergeranno, e con esse il rinnovamento nostro e altrui.
“Non ci sono lieti fine nella storia, solo momenti di crisi che passano.” (Isaac Asimov)
Saverio Casassa
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