La psicomotricità, un approccio globale alla persona

di Cinzia Termi
psicologa, psicoterapeuta

mamma bambino
“La mente è come il vento e il corpo come la sabbia: se vuoi sapere come soffia il vento puoi guardare la sabbia” (Bonnie Bainbridge Cohen)

 

La psicomotricità è nata nei centri di neuro-psichiatria infantile sotto il nome di rieducazione psicomotoria. Molti studiosi misero in evidenza che il trattamento delle malattie dette mentali passava per il corpo e i suoi movimenti. La nosologia psichiatrica arrivò ad isolare turbe e sindromi dette psicomotorie. A partire da Dupré che tra il 1909 ed il 1913 studia quella che definisce debilité motrice, nella quale si raggruppano stati di squilibrio motorio imputabili a sincinesie, paratonie, risposte maldestre, in soggetti giovani,  passando per  Guilmain, che nella prima metà del ‘900 trasferì sul piano educativo le idee di Dupré e Wallon, relativamente alle concordanze che esistono tra motricità e intelligenza e motricità e carattere, continuando con  Henry Wallon e Jean Piaget, che tendono a mettere in risalto e a sottolineare il legame che esiste tra corpo e intelligenza, tra corpo e sviluppo cognitivo, fino ad arrivare ai contributi preziosi di Jean Le Boulch, Aucouturier, Lapierre ed Ajuriaguerra, che proclama già l’unità psicosomatica, prendendo in esame la persona tutta intera, nella sua completezza di psiche e corpo, la storia e l’evoluzione della teoria e della pratica della psicomotricità è andata ampliandosi ed arricchendosi.

 

La scuola francese e quella svizzera influenzeranno il panorama scientifico europeo, attivando un movimento sulla psicomotricità, che arriverà in Italia negli anni ’70. Dal 1970 ad oggi, (periodo breve, ma fondamentale per la psicomotricità, ove  si assiste ad un ampliamento dei riferimenti scientifico – culturali che stanno alla base di questa disciplina) la teoria psicomotoria fa sempre più riferimento alla psicologia, alla psicoanalisi, all’etologia e ai numerosissimi studi sulla comunicazione non verbale. Questo interesse crescente verso altre discipline fa sì che la psicomotricità integri apporti provenienti da quelle stesse discipline.

 

Nel momento in cui il bambino si richiude nella propria vita fantasmatica, la terapia a dimensione psicomotoria opera un’elaborazione simbolica sulla fissità fantasmatica sottostante. In questo caso il terapeuta, a differenza della psicoterapia, in cui la relazione è mediata prevalentemente attraverso il linguaggio, è coinvolto nell’uso di tecniche non verbali fondate sui mediatori corporei come le posture, i gesti, lo sguardo, il corpo significante.

 

Oggi assistiamo al proseguire della ricerca, in questo ambito e all’uso l’uso della psicomotricità in ambito educativo e terapeutico.
Nuovi approcci metodologici si differenziano dai precedenti, per la rilevanza data alla dimensione sensomotoria, ma anche simbolica e di socializzazione, che favoriscono il processo maturativo del bambino. Un nuovo metodo, proposto da Vecchiato nel 2010, denominato “Psicomotricità Relazionale psicodinamica”, presenta, per esempio, un approccio teorico e pratico che, basandosi ancora sul gioco psicomotorio, si propone di promuovere lo sviluppo ontogenetico del bambino anche attraverso il recupero di archetipi del corpo riconducibili allo sviluppo filogenetico, per favorire  il potenziamento di strategie comunicativo-relazionali più idonee ad una crescita armonica.
Passando per molte interpretazioni e i contributi, la psicomotricità è dunque arrivata a noi arricchita, vivificata,  in continua evoluzione e può essere intesa come strumento terapeutico al servizio del benessere dell’individuo.
Al di là delle varie correnti di pensiero sulla psicomotricità, appare utile riflettere sull’idea di fondo che tutte trasmettono e condividono: l’importanza dell’integrazione mente-corpo per garantire all’individuo, bambino o adulto che sia, un equilibrio psicofisico ed una miglior qualità della vita.

 

La psicomotricità, si basa su una visione globale della persona, integrando le interazioni cognitive, emozionali, creative, simboliche e sensomotorie, esprimendo una capacità di essere e di sviluppo armonico della persona. Il pensiero psicomotorio tenta di riunificare l’essere umano in un corpo-mente, corpo-spirito in relazione dialettica ed è stato necessario superare numerose tappe per liberarsi da questo schema dualista di psiche e soma e forse, pur essendo riusciti a scorgere più da vicino l’unità dell’essere, molto resta ancora da scoprire.

 

La psicomotricità si è proposta in ambito educativo e terapeutico richiamando l’attenzione sulla nostra concezione del corpo. Nella società occidentale il corpo è da sempre un “corpo-separato”, dapprima separato dall’anima e dalla psiche e poi dalla mente con le sue facoltà intellettuali. Questa separazione lo ha portato ad essere considerato sia come luogo di bisogni che spesso entrano in conflitto con le regole sociali e per questo necessita di un’adeguata azione “educativa” e di opportuni “addestramenti”, sia come insieme di organi e apparati, regolati da leggi chimiche e meccaniche, sia, infine, come oggetto sottomesso alla volontà dell’intelletto, che ha sostanzialmente compiti esecutivi.

 

Ora, la psicomotricità si è sviluppata e consolidata partendo da un punto di vista diametralmente opposto che ha cercato di sdoganare il corpo dai confini dell’emarginazione per recuperare il suo ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità: non più “corpo-separato”, ma corpo inscindibilmente unito alla mente e alla psiche; non più corpo sottomesso, ma corpo come luogo che contiene tutte le potenzialità e le esperienze motorie, affettive e cognitive, consce e inconsce dell’individuo; corpo come mediatore fra sé e il mondo. Da che cosa è motivato questo approccio al corpo, che avrà una serie di ricadute importanti su tutto il metodo della psicomotricità? Dall’osservazione e dalla pratica con i bambini, suffragata anche dalla ricerca psicologica e psicanalitica che in questo ambito hanno registrato significative convergenze, che ha messo in evidenza l’incidenza di alcuni aspetti che, nella loro interazione, concorrono ad armonizzare lo sviluppo del bambino: a)l’unitarietà del processo di crescita che si manifesta nel corpo come “crocevia” tra le funzioni motorie, affettive e cognitive; b)il ruolo della relazione (ed in particolare della relazione corporea con la figura materna) nello sviluppo psicologico; c)la funzione della comunicazione nella relazione che nella prima fase passa attraverso i codici della comunicazione corporea-non-verbale ; d)la funzione del gioco nel processo di costruzione dell’identità.

 

L’approccio psicomotorio e, in modo specifico la Psicomotricità Relazionale, si basa quindi sulla coniugazione di tre parole-chiave: 1) il corpo, come strumento di espressione e di comunicazione, 2) la relazione, come terreno fertile per la crescita e lo sviluppo delle emozioni e degli affetti e quindi come condizione per la nascita psicologica e la conseguente apertura al mondo, 3) il gioco, ed in particolare il gioco simbolico che accompagna l’agire del bambino proprio nella fascia da 2 a 7 anni, come attività naturale per conoscere, per esprimere le emozioni profonde e, come dice Winnicott, per “separarsi” e procedere verso l’autonomia. Tre parole che derivano dal percorso di “crescita naturale” del bambino. Tre parole che, però, partono dal bambino, ma si estendono anche all’adulto che con questi entra in relazione; come dice Lapierre: ”Non si tratta solo di assumere il rapporto del bambino con la nostra persona, ma anche di assumere la nostra relazione in rapporto alla persona e al corpo del bambino” (1982). Questo implica che lo psicomotricista comprenda, nel suo bagaglio professionale, l’attitudine all’ascolto anche del corpo dell’altro, così come l’attenzione all’altro e la disponibilità all’accoglienza e al contenimento. In questo modo potrà “scendere” nel gioco col bambino e stabilire con lui una relazione nella quale ci sia spazio, anche e soprattutto, per i contenuti della vita affettiva che si esprimono proprio attraverso il corpo e la comunicazione corporea non verbale. Ma quanto è necessaria un’attività che assecondi il processo di crescita del bambino? La necessità, o se si preferisce l’utilità, deriva dal fatto che la “crescita naturale” è costellata di ostacoli: pulsioni, paure, bisogni, frustrazioni, conflitti che condizionano la formazione della sua struttura psichica e che possono, se non sufficientemente risolti ed elaborati, interferire sulle sue capacità relazionali (inibizione, aggressività, agitazione, chiusura…) così come sulla sua “apertura al mondo” (desiderio di conoscere, desiderio di affermarsi…). L’esperienza di psicomotricità può essere allora un’efficace opportunità, in quanto attività che, partendo dal mondo reale, prende in considerazione anche le tematiche del mondo interno, consentendo così al bambino di sperimentare le sue possibilità in relazioni simboliche con un adulto diverso dai genitori o da altre figure educative. E questo adulto, forse perché svincolato da preoccupazioni di ordine pedagogico o educativo, e più centrato sulla dimensione affettiva della relazione, può permettergli di esprimere i suoi bisogni profondi, sia affettivi che aggressivi per cercare insieme a lui possibili risposte e modelli di cambiamento. Vale la pena porre l’accento sull’importanza di un’azione del genere: non si tratta, ovviamente, di eliminare i conflitti inconsci e gli ostacoli dal percorso di crescita, ma di accompagnare il bambino e di sostenerlo in queste difficoltà perché possa trovare le soluzioni per muoversi verso una personalità sempre più integrata. Un intervento che contiene una doppia valenza: da un lato, una funzione di prevenzione, nel senso che si crea una condizione di “attenzione” e di “promozione” che può prevenire la formazione di risposte di adattamento patologiche e, dall’altro, la possibilità di individuare precocemente le situazioni di particolare gravità che necessitano di un’azione terapeutica più mirata.

 

L’immagine del corpo rappresenta una forma di equilibrio verso cui tendono le funzioni psicomotorie che evolvono verso la loro maturità. Questa immagine non è precostituita: essa è una “struttura strutturata”. E’ mediante i mutui rapporti dell’organismo con l’ambiente che si organizza l’immagine del corpo, come nucleo centrale della personalità e l’attività motoria e sensomotoria, grazie alla quale l’individuo esplora e manipola l’ambiente, ha un ruolo fondamentale nella sua genesi. E’ un concetto che racchiude quella possibilità, del nostro corpo, di costruire in ogni istante un modello posturale, che ha un ruolo essenziale nel mantenimento della regolazione posturale (posizione del corpo). Tale modello non è un dato statico, ma sostiene attivamente tutti i gesti che vengono compiuti dal nostro corpo su se stesso e sugli oggetti. Nel lavoro di organizzazione del modello posturale, la vita affettiva gioca un ruolo essenziale poiché, sotto l’influenza delle emozioni, il valore relativo delle diverse posture del corpo tra loro e la loro differenziazione evolverà verso le tendenze libidiche.

 

L’intervento psicomotorio rappresenta, pur non essendo l’assoluta panacea, un ottimo approccio allo sviluppo del bambino, proprio perché utilizza la mediazione del corpo e del movimento. Il bambino in terapia psicomotoria scopre un corpo che si muove, che agisce, che esprime ansie e desideri. Egli può manifestare l’ansia e l’insicurezza  anche con il rifiuto, l’aggressività, la passività. La terapia psicomotoria non è l’imposizione di una successione di esercizi, ma la capacità di mettere il bambino in situazioni di fare esperienze dirette, di esplorare, di verificare, di conoscere le proprie capacità e di superare, secondo i propri limiti, le difficoltà. Durante le sedute deve emergere, non soltanto l’aspetto ludico, ma anche una situazione di apprendimento e di verifica. Un progetto terapeutico deve essere preparato in funzione dei problemi, dei bisogni del bambino e tener presente anche le difficoltà che il bambino deve superare. Ajuriaguerra afferma che il sintomo indica che c’è la malattia, ma esso è una manifestazione che nasconde una disorganizzazione globale spesso molto vasta. La fattibilità del progetto dipende, allora, non soltanto dalle conoscenze del bambino, ma dalla capacità del terapeuta di rapportarsi con lui, di adeguarsi al suo ritmo ed interagire tra momenti educativi e didattici, che sono comunque e sempre terapeutici. Ciò che emerge in terapia psicomotoria è il “vissuto” del bambino che “vive”, in maniera diretta, le proprie esperienze e non  è lì per apprendere delle nozioni.
A lungo oggetto di discussione, in ambito pedagogico, terapeutico,didattico, la pratica psicomotoria trova ora, fra l’altro, nuova trattazione negli  Orientamenti per la scuola dell’infanzia e primaria, ove è possibile rileggerne una nuova valorizzazione. In tali indicazioni legislative emerge la necessità di “rivalutare la corporeità”, che include l’azione, il movimento, la relazione con sé e gli altri, ma anche gli aspetti psicologici, cognitivi, affettivi, emozionali del soggetto, che è parte di una cultura di riferimento e di appartenenza.

 

Occorre comunque aggiungere che, talvolta, affiancare  un percorso psicoterapico individuale all’intervento psicomotorio può essere necessario al fine di offrire al bambino un’ulteriore ed imprescindibile occasione di elaborazione simbolica della propria vita fantasmatica, collocandosi in un progetto complessivo di presa in carico che tenda a massimizzare le opportunità di conoscenza di sé ed armonizzazione delle competenze propriocettive ed emotive.

 

Bibliografia

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