Come sopravvivere alle difficoltà coniugali.
a cura di Chiara Giudici
psicologa psicoterapeuta
La scelta di questo titolo prende spunto dal film di Massimo Troisi, una delicata, divertente e amara lettura dell’amore e della relazione di coppia. Tutto il film è una ricerca della definizione del concetto di amore, che mostra la difficoltà che uomo e donna incontrano nel rapporto l’uno con l’altra, che spesso viene trascinato “come un calesse”. Perché ci trasciniamo in un rapporto che ci fa soffrire, invece di dedicare uno spazio e un tempo per capire cosa non funziona, investendo così nella direzione dello star bene individuale come della coppia? Perché, per dirlo con le parole del regista, intervistato:
Quando non è più amore ma ‘calesse’, bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male…ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell’inizio.
Rimaniamo impantanati in una dinamica che si ripete sempre uguale a se stessa, in seguito al contrasto che si crea tra il partner ideale, quello che noi abbiamo in testa e quello reale, fino a quando la nostra illusione non cade e con questa il rapporto.
Fasi evolutive della coppia
Cresciamo passando per tappe evolutive, identificandoci e differenziandoci con gli altri. Cosa vuol dire? Che la coppia, proprio come il neonato, cresce lentamente nell’interazione tra i partners attraversando una serie di fasi che sono tipiche per tutte le coppie e che utilizzano due meccanismi di base:
L’identificazione -rivedo nell’altro aspetti miei- ci consente di stabilire un contatto con l’esterno, ci rassicura e ci consente di sentirci parte di un tutto.
La differenziazione ci consente di sviluppare la nostra indipendenza, la libertà di agire e pensare autonomamente, pur facendo parte di una collettività.
I processi di identificazione e di differenziazione sono ciclici nel corso della nostra vita. Così un rapporto di coppia sano, è formato da due persone che continuano a crescere, e che, come coppia, passano attraverso diverse fasi.
Le fasi evolutive della coppia sono le stesse attraverso le quali passa anche il bambino, nel rapporto con i genitori, la prima coppia è in fatti quella madre-figlio e il modo in cui viviamo questo primo rapporto pone una base sulla quale andremo a sviluppare i successivi. Quindi, nel caso in cui ci siano stati problemi in una di queste fasi evolutive, la persona li ripresenterà anche nel rapporto di coppia.
Il neonato è caratterizzato dal desiderio di contatto, soprattutto con la madre. Vuole essere tenuto, accarezzato, accolto con gioia e accettato. L’amore (…) può essere definito come desiderio di vicinanza e di intimità. Quando il desiderio di contatto è soddisfatto il bambino si trova in uno stato di piacere. La deprivazione della vicinanza, di cui ha bisogno, genera uno stato di sofferenza.
Ogni sentimento di amore dell’adulto ha origine in questo strato della personalità. Benché possa variare la forma in cui si esprime, la natura del sentimento d’amore, nell’adulto e nel bambino, non è diversa. Alla base di tutti i sentimenti amorosi vi è il desiderio di contatto e di intimità. L’individuo che è ancora in contatto con il bambino che è stato – e che fa ancora parte di lui- conosce il sentimento dell’amore. È in contatto anche con il proprio cuore. Quanto più una persona è staccata dal proprio cuore o dalla propria infanzia, tanto più è bloccata la sua capacità di provare la pienezza dell’amore. (Lowen, 1975)
Partiamo tutti da un rapporto simbiotico con la madre nei primi mesi di vita, così come partiamo tutti da quello che chiamiamo innamoramento, nella coppia. Il partner è idealizzato e ci si sente molto vicini e simili a lui. Le coppie che riescono a vivere questa fase sviluppano un legame di base, che fa da terreno fertile per il successivo sviluppo della relazione.
Il bambino gradualmente passa a differenziarsi dalla madre e, così, avviene anche nella coppia: i partner iniziano a scoprire le loro differenze e i loro difetti. Il partner perde l’alone di fascino assoluto, torna ad essere umano e imperfetto e questo comporta una certa sofferenza e un poco di delusione nello scoprire gli aspetti negativi e i punti deboli dell’altro.
Segue una fase di sperimentazione. Il bambino, più o meno dall’anno, comincia ad allontanarsi dalla mamma, è incuriosito da tutto e si lancia, seppur cautamente, ad esplorare il mondo e questo gli consente di imparare molto sia rispetto al mondo che rispetto ai propri limiti. Così andando a esplorare e tornando dalla madre ogni volta che ne ha bisogno, fa le esperienze che gli consentono di crescere e di acquisire sicurezza. Anche la coppia si separa, in questa fase, i partners ricercano spazi individuali nuovi o tornano ai vecchi. Potranno concentrarsi sul lavoro, cercare nuovi rapporti o ambiti in cui investire energie. I conflitti sorti nella fase precedente si acuiscono e diventa necessario trovare modalità nuove di stare insieme senza incatenare l’altro o incatenarsi, lasciando uno spazio di autonomia a ciascuno ed imparando l’arte del compromesso. Ad esempio, se uno desidera andare a camminare in montagna e l’altro detesta l’attività fisica e ama il teatro, si cercherà di lasciare ad entrambi uno spazio per soddisfare indipendentemente questi desideri; o si rinuncerà a turno, al proprio desiderio a vantaggio di quello dell’altro. È fondamentale, infatti, che non sia sempre lo stesso partner a retrocedere, perché in questo caso si innescherebbe una dinamica che porterebbe a inasprire il conflitto, esplicitamente o meno.
Se questa fase di differenziazione ha successo, ne segue una in cui i partners tornano a cercarsi, proprio come il bambino torna a riavvicinarsi alla madre. Si riesce a fare a meno dell’altro, ma c’è un bisogno forte di rassicurazione circa la sua presenza. È questo il periodo in cui costruisce la reale accettazione dell’altro, così com’è e non come lo si vorrebbe. Questa è una fase fertile in cui nascono progetti condivisi, che possono essere un figlio o un’attività comune.
Questo sviluppo dalla simbiosi, all’autonomia, all’unione differenziata è vitale per la qualità di vita personale, come della coppia, perché consente ai partner di sentirsi realizzati, permette loro di acquisire un’identità ben precisa, un senso di autonomia, che diventano la base per potersi ritrovare con l’altro, accettandolo per com’è (cosa che non si riesce a fare mai quando siamo poco sicuri di noi stessi!). In questo modo la coppia è l’unione di due persone consapevoli e presenti che stanno insieme per scelta, non per necessità.
I partners presentano, ovviamente, ognuno le sue difficoltà, legate, come abbiamo visto, a come sono andate le cose nella loro prima coppia, quella con la loro madre, e riferite alla fase evolutiva in cui ci sono state le difficoltà. Può quindi accadere che uno dei due membri della coppia si trovi più avanti dell’altro nella crescita, a seconda di quelle che sono state le fasi “calde”. In questo caso, uno dei due comincia a differenziarsi o a sperimentarsi all’esterno, mentre l’altro resta, per esempio, alla fase simbiotica. Quando la differenza tra i partner è maggiore di due stati evolutivi la coppia, generalmente, finisce per rompersi.
Sintonia Emotiva vs. Dissintonia
Come per la relazione madre-figlio, così anche nel rapporto di coppia, c’è un continuo passare da situazioni di sintonia emotiva a momenti di dissintonia. Questo è normale ed è vitale, poiché è proprio dalla riparazione dei momenti in cui la sintonia manca, che la coppia apprende e cresce. Poter superare la difficoltà insieme consente di sentirsi più solidi e rende la relazione più stabile (che non vuol dire morta o noiosa, perché si tratta di una stabilità dinamica!), questo lo si riesce a fare alleandosi l’un l’altro, rapportandosi al compagno/a paritariamente. Ma questa condizione si verifica quando ognuno dei due partners ha, in primo luogo, stima e contatto con sé.
Quando la buona regolazione della coppia si interrompe, quando cade la sintonia, lo spazio riflessivo si contrae molto: proliferano i pensieri, che vanno a formare vere e proprie catene di teorie su ciò che l’uno e l’altro pensano e sentono, ma così facendo, in realtà, si perde il contatto con la realtà, con lo stimolo corporeo di base e con le emozioni ad esso legate, sia per quanto riguarda se stessi, che per l’altro. Cosa voglio dire? Che andando a costruire teorie su ciò che sta succedendo nel diverbio con l’altro, spostiamo la nostra attenzione da ciò che proviamo a ciò che pensiamo. Così facendo perdiamo l’unica àncora che abbiamo con la realtà! Perché il nostro corpo sarebbe un’àncora? Perché non può mentirci, perché quando è a disagio, non è in grado di non esprimerlo, perché ognuna delle nostre emozioni ha una base fisica, si esprime attraverso una reazione fisica.
Facciamo un esempio: pensate a quali sensazioni fisiche provate quando siete arrabbiati? E quando siete tristi? Potete aiutarvi pensando a una situazione che vi ha fatto arrabbiare e ad una che vi fatto intristire.
Se siete in difficoltà a riconoscere le sensazioni fisiche, proviamo in un altro modo. Descriverò una serie di sensazioni fisiche legate a rabbia e tristezza e vi darò alcune indicazioni operative, provate a seguirle e cercate di osservare se mentre leggete c’è un cambiamento del vostro stato d’animo.
Nella rabbia alcune delle reazioni fisiche comuni sono: l’aumento della temperatura corporea, della sudorazione, del battito cardiaco e della pressione sanguigna. Rispetto a queste non potete fare nulla volontariamente. Ma provate a contrarre la parte posteriore del corpo (schiena, collo), tendendo la gola e la fronte; serrate la mascella (i denti possono arrivare a digrignare) e le labbra, fate convergere verso il basso le sopracciglia e spalancate gli occhi. State un po’ così e provate e percepire che stato d’animo arriva.
Nella tristezza alcune delle reazioni fisiche comuni sono: il diaframma si chiude, sensazione di un peso sul cuore, groppo in gola e palpebre pesanti. Provate a tendere il collo, fino ad avere voglia di gridare, e tendente la fronte tra le sopracciglia, cercando di farle convergere in alto all’interno, splancate la bocca e fate scendere verso il basso gli angoli, fate salire le guance verso gli occhi e abbassate lo sguardo. State un po’ così e provate e percepire che stato d’animo arriva.
È molto importante essere consapevoli delle nostre sensazioni fisiche perché sono quelle che ci consentono di identificare sia come ci sentiamo noi, che qual è lo stato emotivo del partner. Quante volte, andando dietro ai pensieri e alle teorie “montiamo” noi stessi arrivando ad arrabbiarci, ma per effetto dei nostri ragionamenti, quando alla base c’è magari l’emozione della tristezza? O quante volte succede proprio l’opposto: non consapevoli della rabbia, seguiamo una catena di pensieri che ci porta a sentire tristezza! Funzioniamo proprio così e copriamo lo stato d’animo di partenza, siamo spesso poco consapevoli di come stiamo e seguendo le catene di pensieri diventiamo estremamente confusi a riguardo. Questa modalità che porta in primo piano i contenuti del diverbio, distoglie l’attenzione di entrambi i partners dalla loro realtà corporea rendendoli assai poco consapevoli delle emozioni presenti in se stessi, come nell’altro, nonostante una forte presunzione di conoscerle, legata alle teorie sviluppate in merito!
Quindi la prima regola d’oro per far funzionare la coppia è quella di lavorare per essere consapevoli delle proprie sensazioni fisiche ed emotive. Questo ci consentirà di avere chiaro come stiamo e cosa proviamo e ci predisporrà all’osservazione dell’altro con meno preconcetti.
Consideriamo un altro aspetto. Generalmente quando qualcosa non funziona nella coppia, si strutturano dinamiche che tendono a ripetersi e che, alla lunga, sfiaccano il rapporto (in realtà possono ripetersi anche nei vari rapporti di coppia costruiti nel tempo). Queste dinamiche non sono normalmente consapevoli, la persona le agisce, cioè, senza rendersene conto. Facciamo qualche esempio:
. un partner reagisce in modo attivo alla depressione, facendo molti tentativi per far muovere l’altro: LO CORREGGE (cercando così di tornare alla situazione di sintonia), in realtà l’intervento di questa persona ha lo scopo di calmare se stessa. Anzi, lo stare talmente addosso al partner gli manda una comunicazione che è proprio l’opposto di ciò che la persona si propone: “non sei all’altezza, non vali nulla, hai bisogno di me” e lo allontana sempre di più dal rapporto reciproco, così come dalla possibilità di acquisire una maggiore coscienza di se stesso.
. un partner reagisce al disagio EVITANDO il problema, il confronto, verbalizzando anche di non avere nessun problema con l’altro. Proprio nello stesso modo in cui se mi sono rotto una gamba, poi eviterò di appoggiare tutto il mio peso, anche una volta che la gamba sarà tornata a posto: per la paura di sentire male. Così facendo, in realtà rimango in uno stato di sofferenza, al quale aggiungo una fatica notevole, che non mi consente mai di verificare se effettivamente affrontare quel timore mi porti il dolore pensato.
Quali sono le regole d’oro per stare bene in coppia?
- Riportarsi, prima di tutto, alla sintonia con se stessi, perché questa è l’unica base da cui partire per poter ritrovare l’altro. Come abbiamo visto nel primo esempio se io tento di riparare quando sono in ansia non riesco, perché cerco di lenire la mia ansia e non mi sto occupando veramente dell’altro! La sintonia con se stessi ha una base corporea. Se non sono cosciente di cosa provo, e spesso è così, sappiamo cosa pensiamo, ma non cosa sentiamo, il disagio deve arrivare ad assumere forme molto rumorose perché ci consentiamo di sentirlo (pensate ai disturbi d’ansia)!
- Questo consente di riacquistare consapevolezza rispetto all’identificazione con l’altro, cioè a quando nell’altro vediamo aspetti che sono nostri, ma che non riconosciamo come tali.
- Questo consente di predisporsi a poter “ascoltare” il corpo dell’altro, che è quello che ci invia i segnali rispetto alla distanza giusta e al tempismo adeguato per quel momento.
Ricordiamoci che quando le dinamiche si ripetono e non riusciamo ad uscirne, l’unica soluzione consta nell’aprire il sistema: chiedere aiuto!
Vorrei spendere un’ultima considerazione sul ruolo del contatto come regolatore del sistema della coppia, come strumento nella relazione con l’altro che consente di passare molto più efficacemente ciò che sentiamo, rispetto ad un discorso, superando alcune delle barriere inconsce dell’altro. Vorrei ricordarvi che il contatto può esserci anche nella distanza (pensiamo allo sguardo e al suo potere comunicativo). A questo riguardo vi lascio con un esempio molto efficace tratto dalla relazione madre-figlio: conoscete tutti quale potere ha il sorriso e lo sguardo birbone di un bambino, subito dopo aver fatto una marachella ed essere stato sgridato, nel suscitare nel genitore comprensione e simpatia? Anche nella coppia le cose funzionano proprio in questo modo!
Chiara Giudici
Psicologa, conduttrice di Classi di Esercizio Bioenergetico
E-mail: chiara_giudici@fastwebnet.it
Tel. 347 7716567
Savona
Bibliografia
Bonanni, L. Fasi evolutive del rapporto di coppia. www.psicoterapie.org/169.htm
Cinotti, N. ; Zazzagnini, C. (2010) Analisi bionergetica in dialogo. Ed. FrancoAngeli
Ekman, P. (2003) Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste. Ed. Amrita
Lowen, A. (1975) Bioenergetica. Ed. Feltrinelli
Lowen, A. (1985) Il linguaggio del corpo. Ed. Feltrinelli
Satir, V. (1988) In famiglia come va? Ed. Impressioni Grafiche